Oltre 68 anni di attività
É storia ma sembra già leggenda.
Può succedere, in un mondo che gira sempre più vorticosamente,
e vuol aggiungere fretta alla fretta, che giorno dopo giorno escogita qualcosa di nuovo per accelerare, per sorpassare, per rimuovere.
E per dimenticare.
Così, se mode travolgenti vengono bruciate ancor prima della stagione che le ha viste affermarsi, se ideologie apparentemente destinate all' eternità scompaiono nel giro di qualche lustro, se perfino le solide basi della società – che per secoli avevano regolato i ritmi della vita – vengono scalzate dall' impeto travolgente delle nuove generazioni, ecco che avvenimenti risalenti a sessanta anni indietro assumono i contorni del Mito.
SessantOTTO anni.
Una storia che ha inizio all'incirca alla metà del XX secolo e, con immutata volontà e medesimo impegno, ma rinnovata e giovanile energia, si lancia nel nuovo millennio.
Un approccio nato dal caso… dalla passione… forse dal Fato, che così aveva deciso. O magari da un mix di tutti questi elementi. Chissà.
Era il 1953. Un'Italia ancora in ginocchio, un'economia prettamente agricola, una cultura che ne era la diretta emanazione, con poche ma solide certezze, poco o punto propensa a tutto quello che non si potesse agevolmente contare o misurare e chiusa a doppia mandata dinanzi a ciò che non fosse di facile e immediata comprensione. Un'Italia che, ancora lontana dal pensare a future Seicento o Cinquecento a percorrere immaginarie autostrade, si immedesimava nel film di Vittorio De Sica “Ladri di biciclette” e affidava i sogni di una prossima motorizzazione alla Vespa e alla Lambretta. In un'Italia così, quale molla – il caso? la passione? il Fato? – poteva spingere un giovanotto di un paesino della pianura Padana a organizzare mostre di pittura? Significava lanciare una sfida a tutta la mentalità dominante, significava affrontare scetticismo e incredulità, sopportare derisioni e compatimenti, significava parlare di Arte Moderna a chi accantonava un gruzzolo per acquistare un cavallo o una vacca, significava rischiare l' isolamento.
A Villimpenta, 1800 anime in provincia di Mantova, un puntino e solo nelle carte più dettagliate, c'era una piccola industria per la lavorazione delle erbe palustri. Nulla o quasi per i giovani rampanti di oggi, ma una piccola ricchezza (e nemmeno tanto piccola) per i tempi e per la famiglia che la dirigeva: Romano Stefanini con la moglie Gina. E, malgrado la reticenza di papà Romano, a dispetto della scarsissima convinzione (ed è veramente un eufemismo!),spinto dall'appoggio di mamma Gina, proprio il benessere garantito dall' azienda di famiglia consentì ad Arvedo le prime scorrerie nel mondo dell'Arte, con l'organizzazione di mostre alla Galleria d'Arte “Gonzaghesca” di Mantova. Nacque per questo, nel 1955, la Galleria d'Arte EIDAC (acronimo di Ente Internazionale Di Arte Contemporanea),con sede al n. 8 di via Morigi, Milano. Per Arvedo, sin d'allora sempre supportato dalla preziosa collaborazione della moglie Anita, la realizzazione di un vecchio sogno – il poter disporre di uno spazio tutto suo nel quale ospitare gli artisti che nel frattempo aveva conosciuto – costituì una formidabile iniezione di fiducia nonché una dirompente spinta propulsiva. Con la collaborazione di critici come C. Munari, R. De Grada e M. de Micheli, vennero organizzate mostre davvero straordinarie: la prima, “Mostra dei Maestri” con opere di Morandi, De Chirico, Carrà, Rosai, Soffici, Sironi, De Pisis; la successiva “Mostra Generazione di Mezzo” ospitò Guttuso, Morlotti, Sassu, Cassinari, Birolli, Migneco; la terza mostra, “I GIOVANI”, impose all' attenzione generale Brindisi, Treccani, Rognoni, Dova e Crippa; infine, a completare l'excursus generazionale, fu la mostra “Le Proposte” che costituì il trampolino di lancio di Baratella, De Filippi, Tinè, Bonalumi.
Correva l'anno 1961. L'Italia celebrava il suo centenario, Torino ospitava l'esposizione denominata proprio “Italia '61”, le cerimonie e i festeggiamenti si susseguivano. In teatro, Modugno e Delia Scala con “Rinaldo in campo” e Renato Rascel e Gloria Paul con “Enrico '61” facevano ogni sera il tutto esaurito ricordando agli Italiani i primi cento anni della loro storia unitaria.
Si era nel pieno del boom economico e un boom fu anche l'avvio della galleria nella nuova e prestigiosa sede di via S. Andrea 3. La prima mostra, una personale di E. Morlotti organizzata da O. Patani, ottenne un tale successo di critica e pubblico da affermarsi come l' evento artistico più rilevante del periodo; subito dopo fu la volta di una personale di Xavier Bueno e a seguire un altro appuntamento eccezionale, grazie anche alla grande collaborazione della galleria Schettini, con l'accoppiata Dova e Crippa. Quindi, con il supporto del critico Dino Villani e di Sergio Negri di Guastalla, venne ospitato un personaggio così particolare che solo a distanza di anni se ne sarebbe compresa appieno la grandezza: Antonio Ligabue.
Nel 1970 la galleria si trasferì nel nuovo indirizzo di piazza Mirabello 4. La sede era stupenda, le manifestazioni che vi vennero ospitate altrettanto. Fin dall'inaugurazione – celebrata dal sindaco Aldo Aniasi – fu un susseguirsi di eventi memorabili: si spaziava da una collettiva di Maestri e Proposte a una rassegna di vecchi disegni di Remo Brindisi, da “Eduard Pignon – tempere e oli” alla personale di Renato Guttuso. E poi, E. Treccani, E. Scanavino, D. Purificato, B. Cassinari con il suo “Satyricon”. La Galleria Pace di questi anni costituì il più importante punto d'incontro cittadino tra artisti, critici e personalità varie. Incontri casuali si trasformavano a volte in duraturi e perfino storici sodalizi, così come una semplice divergenza di opinioni poteva significare la fine di una vecchia amicizia: si può ben dire che dai suoi locali siano passati tutti i nomi e le personalità più rilevanti dell'arte, della cultura, della politica, dell'economia degli anni a cavallo tra i '60 e i '70. Un periodo entusiasmante, vitalissimo, febbrile, che vide anche il pieno inserimento nell’attività del figlio di Arvedo, Gimmi.
L'attività prese nuovo vigore. Iniziò l'esecuzione di aste, delle quali Gimmi Stefanini ha sempre fatto il banditore e che hanno ampliato la fama ed i confini della galleria; nel contempo fu possibile partecipare alle più importanti vetrine nazionali oltre che, naturalmente, proseguire nella normale attività di mostre personali e collettive.
Il 1986 fu l'anno di una nuova e fondamentale svolta: la Galleria ormai totalmente curata da Gimmi Stefanini, si stabilì nella nuova e prestigiosa sede di piazza San Marco 1, nel cuore di Brera.
Si ripartì con personali di Brindisi, Cassinari, Tozzi, intercalandole con mostre collettive in permanenza; nel frattempo venne incrementato il programma delle vendite all’asta. Verso la fine degli anni '90, è ormai storia di oggi, si intraprende il cammino di un'opera titanica: la creazione del catalogo completo delle opere del Maestro Remo Brindisi, con la pubblicazione, edita dalla Galleria stessa, dei relativi volumi che, previsti nel numero di quattro, sono giunti al momento al tomo n. 3. Viste la serietà a la qualità del lavoro svolto, anche il figlio di Roberto Crippa, Roberto jr. ha poi deciso di conferire alla Galleria lo stesso incarico per quanto riguarda le opere di questo grande Maestro.
Mezzo secolo. Dalla geniale e folle intuizione di Arvedo all’espansione propiziata dal figlio Gimmi, coadiuvato da sempre dalla moglie Rita ed ora – terza generazione inserita nella società – dalle figlie Liria e Chiara nonché da uno staff di collaboratori di assoluto rilievo, la Galleria Pace ha raggiunto un traguardo invidiabile percorrendo un cammino non sempre facile ma costantemente nel segno della coerenza.
Nel ricordare sia pur velocemente questi sessanta anni di storia, non possiamo non sentirci orgogliosi di quanto è stato realizzato e, nel contempo, non avvertire la responsabilità di considerare tutto ciò non come un punto di arrivo ma come base per un’ulteriore storia da vivere. Già attrezzata per i nuovi orizzonti aperti dalla globalizzazione dei mercati e dal commercio elettronico, la Galleria Pace è pronta alle sfide del terzo millennio. Affrontarle nel rispetto della nostra tradizione della professionalità e della qualità che ci contraddistinguono sarà sempre il nostro primo e irrinunciabile impegno.